Le esperienze di studio all'estero: caratteristiche ed esiti occupazionali dei laureati

Chi sono i laureati che vanno all'estero durante gli studi universitari? E che vantaggio traggono da questa esperienza? Con un'indagine ad hoc sulle caratteristiche e gli esiti occupazionali dei laureati che hanno fatto esperienze di studio all'estero, AlmaLaurea risponde a questi interrogativi. Di particolare interesse, nell'analisi qui presentata, il confronto tra le performance dei laureati che hanno maturato questa esperienza (con un programma dell'Unione europea o su iniziativa personale) con coloro che non hanno mai studiato all'estero. L'universo di riferimento è costituito da 250mila laureati tra il 2000 e il 2005.

La ricerca è stata presentata a Turku, al convegno "Academic Mobility: Blending Perspectives" organizzato dall'Università finlandese dal 21 al 23 settembre 2006: un approfondimento sui "nuovi stranieri", gli studenti e i ricercatori che girano non più solo in Europa, ma nel mondo, con i programmi di scambio. Il contributo di AlmaLaurea, inedito nel panorama degli studi europei e particolarmente apprezzato all'estero per la consistenza del campione di riferimento utilizzato nell'indagine e per i confronti consentiti tra chi ha fatto o no esperienze di studi oltre confine, mette in luce innanzitutto l'esiguità del numero dei laureati italiani coinvolti nella mobilità internazionale: poco più di 8 su cento hanno svolto un programma dell'Unione europea. Le mete più gettonate da chi parte sono la Spagna, seguita da Francia, Germania e Regno Unito. Chi partecipa ai programmi europei viene soprattutto dagli Atenei del nord-est e da un background famigliare culturalmente più elevato. E i vantaggi dal punto di vista occupazionale? Molto contenuti se confrontiamo chi ha partecipato a un programma Erasmus e chi invece non è mai partito. Diverso il confronto con chi ha compiuto un'esperienza su iniziativa personale: in questo caso il differenziale sale fino a 6,6 punti. I laureati Erasmus si possono consolare con lo stipendio: guadagnano l'11,3% in più dei loro colleghi che non sono stati all'estero.

Questi risultati, riscontrati in un intervallo temporale certamente ridotto, fanno sorgere dubbi sulla capacità del sistema Paese di apprezzare in misura adeguata il valore aggiunto conferito dalle esperienze di studi all'estero. Resta pur sempre vero che studiare all'estero favorisce la percezione del mercato del lavoro come un mercato internazionale e facilita la mobilità territoriale: a cinque anni dalla laurea ha infatti trovato un impiego oltre confine il 18,5% di chi vanta un'esperienza Erasmus nel proprio bagaglio formativo, contro il 3% di chi invece non ha studiato all'estero.

 

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