Selezione del personale e bias cognitivi: quali sono i rischi?

Come riconoscere i bias nel processo di selezione e imparare a evitarli

Per un’azienda la selezione dei collaboratori è un momento fondamentale per il suo sviluppo. Un’attenta selezione, infatti, permette una buona efficienza, così come, al contrario, un iter di recruiting approssimativo e frettoloso, può essere causa di conseguenze negative per l'impresa.

Se da un lato infatti è importante fare employer branding e strutturare la propria candidate experience in maniera adeguata, dall’altro è fondamentale selezionare i giusti collaboratori, cercando di capire a fondo la persona che si ha davanti e se le sue aspettative e ambizioni siano corrispondenti con ciò che l’azienda sta offrendo, oltre a valutare quanto la persona può essere in armonia con il gruppo di lavoro, a beneficio del suo benessere lavorativo e di un clima aziendale positivo.

Per fare questo, essere preparati e consapevoli dell’importanza del processo di selezione spesso non è sufficiente. Occorre infatti conoscere gli errori di valutazione in cui un recruiter può incorrere, in modo da poterli gestire e limitare quanto più possibile, ecco perché è utile approfondire la tematica dei bias cognitivi nella selezione.

Scorciatoie che portano ad errori di valutazione

Spesso il selezionatore ha a che fare con bias cognitivi, distorsioni che nascono all’interno di un’interazione nel momento in cui vengono adottate delle scorciatoie per evitare il  sovraccarico cognitivo cui siamo esposti quando dobbiamo elaborare molte informazioni.

Un lusso che HR manager e recruiter non possono permettersi, pena la perdita di obiettività, analisi e intuizione che sono caratteristiche fondamentali per la professionalità di un responsabile risorse umane. Il primo passo per evitare l’influenza negativa dei bias nel colloquio di selezione, è conoscerli, ecco quali sono i più frequenti.

Bias cognitivi e selezione: 6 distorsioni da evitare

1. La distorsione proiettiva

Si tratta della tendenza ad attribuire agli altri i nostri stessi stati psicologici, pensieri e valori, che ci porta ad interpretare il comportamento di un’altra persona proiettando su di lei le nostre emozioni e motivazioni. In questo caso, per esempio, un selezionatore poco sicuro di sé che ha a che fare con un candidato molto sicuro di sé, potrebbe valutarlo come insicuro e magari non selezionarlo per questo.

2. Il ricorso agli stereotipi

Lo stereotipo rappresenta una credenza rigidamente precostituita, ereditata a partire dal pensiero collettivo e generalizzata. Non si tratta quindi di una valutazione acquisita sulla base di un’esperienza diretta e sottende la tendenza umana a classificare oggetti e persone in base a criteri comuni, così da percepire il mondo in maniera schematica e semplificata.
I selezionatori possono quindi dar voce agli stereotipi, conformandosi a opinioni e pensieri diffusi, senza valutare il singolo caso in se stesso e limitando l’oggettività della valutazione. Ad esempio il selezionatore potrebbe preferire alcuni candidati rispetto ad altri perché inconsapevolmente associa il possesso di una competenza ad una provenienza territoriale, ad un genere o ad un’etnia.

3. La distorsione di autoconferma

Questo bias cognitivo riguarda la tendenza a ricercare dati e informazioni che confermino le nostre ipotesi e ad escludere quelli che le contraddicono.
Nel caso del colloquio di selezione, il selezionatore arriverà a questa fase dopo alcune attività preliminari e cioè dopo aver condotto la ricerca dei candidati ed aver fatto lo screening dei curricula. In questi momenti iniziali il selezionatore ha già modo di formarsi delle impressioni sui candidati. Queste ultime rischiano di  influenzare il processo, andando a cercare delle conferme durante il colloquio, ad esempio tramite le domande che sceglierà di fare, il suo tono di voce, la sua comunicazione non verbale, che potranno mettere a disagio il candidato o, al contrario, . permettergli di dare il meglio di sé, attraverso un atteggiamento aperto, se la prima impressione era stata positiva.

4. L’effetto alone

Questo tipo di bias ci fa soffermare su un unico aspetto dell’individuo, che influenza la percezione di altri suoi tratti. Ad esempio, a partire da numerosi studi è stato dimostrato che le persone ritenute fisicamente più attraenti sono considerate anche più intelligenti, questo è determinato dall’effetto alone che, a partire da un unico elemento, porta ad un’impressione generale positiva.
Questo effetto comporta per il selezionatore il rischio di valutare una persona non in base al fatto che sia o meno adatta ad un certo ruolo, ma sulla base di una sola caratteristica, fisica o caratteriale, sia positiva che negativa. Infatti, al contrario di una situazione di apprezzamento, il recruiter potrebbe cogliere un aspetto che non apprezza ed estenderlo all’intera valutazione del candidato.

5. Effetto primacy e recency

Questi bias implicano che ad essere maggiormente ricordati e ad influenzarci sono degli elementi con cui si ha a che fare rispettivamente all’inizio o alla fine di un processo. L’effetto primacy, ovvero di “prima impressione”, ad esempio, si verifica quando il selezionatore lascia che la sua valutazione del candidato sia influenzata dai primi aspetti emersi nel corso del colloquio, prestando una  minore attenzione a quanto emerge successivamente. Meno frequente, ma comunque riscontrabile, è l’effetto recency, che è legato alla tendenza a dare maggiore rilievo alle ultime informazioni disponibili, piuttosto che a quelle rilevate precedentemente.

6. Effetto di contrasto

Si verifica quando vengono percepite differenze maggiori o minori a quelle effettive dopo l’esposizione a qualcosa con caratteristiche simili.  Nel campo del recruiting questo comporta per esempio che dopo 4 o 5 colloqui consecutivi con persone poco adeguate al profilo che si sta ricercando, se si ha a che fare con un candidato leggermente superiore c’è la tendenza ad attribuirgli una valutazione positiva. Al contrario, dopo una serie di colloqui con persone preparate e brillanti, anche una persona con capacità medio-alte diventa, all’apparenza, scadente.

Eliminare i bias: missione impossibile?

Una volta mappati i principali bias e acquisita la definizione sommaria di ognuno, bisogna porsi una semplice domanda: possiamo eliminare i bias in maniera definitiva?

La letteratura di settore in questo senso è molto chiara: i bias non si possono eliminare, saranno sempre presenti all’interno dei nostri processi valutativi, in quanto principalmente essi rappresentano schemi decisionali che sfuggono dalla nostra consapevolezza. Tuttavia, i bias cognitivi possono essere limitati nel loro effetto dannoso su un processo di selezione e ci sono diversi suggerimenti utili e alcune strategie specifiche che si possono adottare. In linea di massima è importante che chi si occupa di selezione abbia una formazione ed un’esperienza adeguate, per cui se non è presente un ufficio preposto allo svolgimento di questa attività o non si hanno risorse sufficienti, può essere utile rivolgersi a dei professionisti del settore HR, affinché il processo di selezione venga portato a termine nella maniera corretta.

 

Gli strumenti utili per evitare i bias

Dal punto di vista pratico ci sono diverse possibilità per evitare che i bias influenzino il processo di selezione che stiamo conducendo:

  • Ricorrere a due intervistatori può essere utile per ottenere una valutazione maggiormente oggettiva, infatti mettere in comune le informazioni può far emergere elementi non valutabili dal singolo e limitare l’effetto dei bias.
  • Categorizzare/Standardizzare i tratti da analizzare, utilizzando ad esempio una griglia di valutazione unica e assegnando un punteggio ad ogni aspetto da valutare.
  • Monitorare i processi per una  migliore analisi e per identificare eventuali  errori o difetti di giudizio ricorrenti.

A questi elementi si aggiungono delle procedure di selezione strutturate su diversi step, che prevedano metodi di valutazione prestabiliti e di chiara interpretazione. Ne sono un esempio le interviste strutturate, che permettono di giungere ad una serie di step normalizzata e replicabile, in modo tale da ottenere volta per volta risultati analogamente valutabili.

Un team di recruiter per non farne “una questione personale”

Questi elementi non possono prescindere da un’autoanalisi lucida e seria per il selezionatore. Occorre, infatti, conoscere i propri limiti e le proprie inclinazioni personali, ammettendo di avere delle naturali predisposizioni verso alcuni elementi della persona che si trova di fronte. Un team che si dedichi alla selezione mettendo in campo più risorse competenti ed utilizzando gli strumenti più adeguati è sicuramente il segreto per non fallire nella ricerca dei migliori talenti.

Ecco perché nel processo di selezione o per una strategia di talent acquisition, è utile affidarsi  ad un’organizzazione specializzata. Un processo di selezione condotto a dovere permette infatti di ottimizzare le proprie risorse, limitando gli sprechi economici e di tempo, in cui si incorrerebbe per rimediare ad una selezione approssimativa. Un team di professionisti che si dedica al medesimo processo è spesso difficile da creare all’interno della propria organizzazione, e per questo AlmaLaurea, con il servizio Selezione Laureati, propone ai propri clienti una gamma diversificata di servizi, personalizzabili in base alle esigenze e agli obiettivi di business di ogni singola impresa, ma pensati e strutturati grazie all’esperienza AlmaLaurea srl, per un lavoro di successo.

 

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