La diffusione dello smart working tra i laureati

L’emergere improvviso della pandemia da Covid-19 ha, laddove fattibile, reso inevitabile il ricorso allo smart working, una modalità organizzativa che ha consentito a numerose imprese e agli enti pubblici quella continuità lavorativa altrimenti impensabile, in particolare nella fase di lockdown.

Si tratta, a dire il vero, di una forma organizzativa che, insieme al telelavoro, è stata introdotta nel nostro Paese già da tempo ma che in precedenza non era stata particolarmente utilizzata dalle imprese italiane. Negli ultimi anni, invece, per le ragioni anzidette, si è rilevato un forte aumento dei lavoratori da remoto.

È altrettanto vero che il rientro in sede, a seguito del contenimento della pandemia, è stato diversamente normato per il settore pubblico e quello privato, comportando quindi, ad oggi, una diversa diffusione del lavoro da remoto nei due settori.

Secondo quanto rilevato dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, lo smart working nel 2022 risulta in crescita - e dunque sempre più diffuso - nelle grandi imprese (ne fa ricorso il 91%delle quali, rispetto all’81% rilevato nel 2021); all’opposto, tale modalità di lavoro risulta in calo sia nella Pubblica Amministrazione (57%, rispetto al 67% del 2021) sia nelle piccole e medie imprese (48%, rispetto al 53% del 2021).

Il tema è stato preso in esame nell'ambito del Rapporto AlmaLaurea 2023 sulla Condizione occupazionale dei Laureati. Per semplicità di lettura, di seguito si parlerà di smart working, comprendendo, in senso lato, tutte le attività alle dipendenze o di tipo autonomo svolte da remoto (tenendo conto che lo smart working rappresenta la modalità prevalente).

Complessivamente, nel 2022, lo smart working e, più in generale, il lavoro da remoto, coinvolge il 17,0% dei laureati di primo livello e il 27,6% dei laureati di secondo livello occupati a un anno dal titolo. Nonostante tali quote risultino in calo rispetto a quanto osservato nel 2021 (-2,7 punti percentuali tra i laureati di primo e -3,9 punti tra quelli di secondo livello), a seguito di un graduale ritorno alla normalità dopo la fase emergenziale, questa modalità di lavoro è comunque più diffusa rispetto a quanto osservato prima dello scoppio della pandemia. 

Laureati degli anni 2021 e 2017 occupati a uno e cinque anni dal conseguimento del titolo: diffusione dello smart working per tipo di corso (valori percentuali)


Fonte: AlmaLaurea, Indagine sulla Condizione occupazionale dei Laureati.

A livello di gruppo disciplinare lo smart working è decisamente più diffuso, a un anno dal titolo, tra i laureati di primo e di secondo livello dei gruppi:

  • informatica e tecnologie ICT (oltre il 70% per entrambe i collettivi)
  • ingegneria industriale e dell’informazione (oltre 40% per entrambi),
  • politico sociale e comunicazione (25,4% per i laureati di primo livello e 39,4% per quelli di secondo livello)

A livello di genere lo smart working è più diffuso, a un anno dal titolo: tra gli uomini (23,4% tra i laureati di primo livello e 33,1% tra quelli di secondo livello) rispetto alle donne (12,6% e 23,3%, rispettivamente).

Infine a livello territoriale risulta più utilizzato tra coloro che lavorano al Nord rispetto al Mezzogiorno (tra i laureati di primo livello: 18,0% e 12,5%, rispettivamente; tra i laureati di secondo livello: 30,0% e 17,7%, rispettivamente), anche se la quota più elevata si riscontra tra gli occupati all’estero (33,3% e 42,9% per i laureati, rispettivamente, di primo e di secondo livello).

Quali sono le caratteristiche dell’attività svolta da chi lavora in smart working?

 I lavoratori in smart working svolgono più frequentemente una professione intellettuale e a elevata specializzazione (in particolare analisti e progettisti software, giornalisti e altri esperti in ambito linguistico, letterario e artistico, project manager e altri esperti delle scienze gestionali, commerciali e bancarie, ingegneri, architetti, avvocati, notai ed esperti legali), ma anche esecutiva.

Lavorano più frequentemente nel settore privato, meno in quello pubblico.

Sono relativamente più occupati nei rami dell’informatica, delle consulenze professionali, della comunicazione, nel ramo del credito e assicurazioni e, come ci si poteva attendere, sono invece relativamente meno occupati in quegli ambiti in cui si richiede, di norma, la presenza fisica nel luogo di lavoro, ossia nei rami della sanità, del commercio e in quello dell’istruzione e ricerca.

In termini di tipologia dell’attività lavorativa, gli occupati in smart working hanno in maggior misura un contratto alle dipendenze a tempo indeterminato o un contratto formativo; risultano meno frequenti, invece, i contratti a tempo determinato.

Tali risultati sono generalmente confermati sia per i laureati di primo livello sia per quelli di secondo livello sia a uno sia a cinque anni dalla laurea.

 

Sintesi del Rapporto AlmaLaurea (.pdf)

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