I laureati in storia: quale futuro dopo la laurea?

Esistono aspetti, elementi, performances nel corso degli studi, risultati nell'impatto con il mondo del lavoro che caratterizzano il laureato in Storia e lo differenziano da altri laureati? Appropriate analisi di tipo quantitativo ed attendibili ricerche statistiche, su questo terreno, non paiono davvero diffuse; anche perché risulta tutt'altro che univoco delineare in modo condiviso il collettivo di riferimento. Diversamente da ciò che avviene per altre competenze e professionalità non è infatti agevole identificare un unico percorso formativo universitario in grado di formare lo storico.

1. Chi è il laureato in Storia?

Per quanto solo in parte soddisfacente, si è adottato il criterio di concentrare l'attenzione su coloro che hanno concluso gli studi presso le facoltà di Lettere e Filosofia e Scienze politiche[1]. Si è deciso di non considerare invece i laureati formatisi lungo percorsi formativi di differente caratterizzazione (per esempio nell'area scientifica) che pure, in un'accezione più ampia, potrebbero essere considerati storici: storico della fisica, storico della matematica, ecc.. Il laureato in Storia è stato poi individuato secondo un particolare criterio che considera, per i "dottori" di Scienze politiche la materia di tesi. Ciò si è reso necessario dal momento che in questa facoltà non sono attivi specifici corsi di laurea e che l'articolazione per indirizzi di studio non sempre si è rivelata utilizzabile per tutti gli anni ed in tutti gli atenei ai quali l'indagine è stata estesa. Così l'elaborazione della propria tesi in materia attinente alla storia (tra cui, ad esempio, storia contemporanea, storia costituzionale, storia delle istituzioni politiche, ecc.), ha costituito titolo per essere inserito nel collettivo degli storici; l'ipotesi sottesa a questa scelta classificatoria è che il laureato abbia compiuto un percorso formativo ad indirizzo storico-politico.

Per i laureati in Lettere e Filosofia, invece, è stato adottato un criterio differente, a seconda che nell'ateneo di riferimento sia attivo o meno un corso di laurea in Storia. Nelle sedi che vedono il corso attivo sono stati considerati i soli laureati del corso in Storia, mentre nelle altre sedi sono stati considerati coloro che hanno svolto la propria tesi in materia attinente alla storia (ad esempio, storia contemporanea, storia della lingua italiana, storia romana). L'ipotesi su cui poggia questa scelta è fondata sulla convinzione che in una sede universitaria dove è presente un corso di laurea in Storia il giovane interessato ad intraprendere un percorso di indirizzo storico si iscriva proprio a questo corso. Diverso ovviamente il caso della sede in cui non sia attivo il corso di laurea in Storia: in tal caso lo studente interessato a questi studi sceglierà, verosimilmente, un percorso tale da consentirgli di avvicinarsi per quanto possibile all'obiettivo prescelto.

2. Le principali caratteristiche del laureato in Storia

Definito secondo i criteri sopradescritti, il collettivo esaminato risente, evidentemente, delle connotazioni che caratterizzano, e in una certa misura differenziano, le due popolazioni di origine; quelle che delineano il profilo del laureato della facoltà di Lettere e quelle, frequentemente assai diverse, che tratteggiano l'identikit del dottore in Scienze politiche. è distinzione questa che occorre tenere ben presente nella lettura e soprattutto nell'interpretazione della documentazione prodotta.

I 1.763 laureati in Storia che hanno conseguito il titolo nell'anno solare 2000 rappresentano il 3,8 per cento del complesso della popolazione indagata e provengono in larga maggioranza dalla facoltà di Lettere. La distribuzione per genere è perciò lievemente sbilanciata a favore delle donne (64 per cento degli storici), che sono relativamente più numerose a Lettere che a Scienze politiche.

Tab. 1 - Profilo dei laureati 2000: composizione per genere, età alla laurea, titolo di studio e classe sociale dei genitori (valori percentuali)

Tabella 1

Gli storici sono ampiamente presenti negli atenei aderenti ad ALMALAUREA; non sono rappresentati nelle sole università di Modena e Reggio Emilia, Molise, Torino Politecnico, Venezia Architettura che non hanno laureati in Lettere o Scienze politiche.

Gli storici terminano gli studi più tardi rispetto agli altri laureati: la quota di dottori di età superiore ai 27 anni è infatti più elevata rispetto al complesso della popolazione (48,8 contro 46,9 per cento). Anche il confronto con le rispettive facoltà di provenienza conferma questo diffuso ritardo: a Lettere e Filosofia concludono gli studi dopo i 27 anni il 47,7 per cento degli storici e il 44 per cento degli altri, a Scienze politiche il 50,6 per cento degli storici e il 47 per cento degli altri. Interessante però rilevare che l'età media alla laurea non si discosta significativamente dal complesso della popolazione e dalle rispettive facoltà di provenienza (la differenza si traduce in un ritardo di soli pochi mesi!).

Che gli storici si trattengano di più nel sistema universitario italiano è confermato anche dalla loro scarsa regolarità negli studi: oltre il 40 per cento degli storici riceve infatti l'alloro oltre 4 anni fuori corso (nel complesso della popolazione tale valore si approssima al 37 per cento), e solo 5 su cento concludono gli studi in corso (contro il 9 per cento della popolazione). Per sintetizzare tale risultato si è considerato anche l'indice di durata degli studi[2], che assume un valore mediano pari a 1,64; ciò significa che metà dei laureati ha impiegato, per concludere gli studi, il 64 per cento del tempo in più rispetto ai 4 previsti dagli ordinamenti. La metà degli storici impiega così quasi 7 anni per fregiarsi del titolo di "dottore".

Tab. 2 - Profilo dei laureati 2000: regolarità negli studi, riuscita negli studi, esperienze di lavoro durante gli studi

Tabella 2

Ma se gli storici si mostrano lenti nel terminare gli studi è soprattutto perché molti di loro più che studenti sono lavoratori-studenti: i due terzi circa ha infatti lavorato durante l'università, e che lo studio non abbia costituito la parte predominante di questi anni è confermato anche dal fatto che il 35 per cento degli occupati prosegue, ad un anno dalla laurea, il medesimo impiego iniziato prima di conseguire il titolo (nel complesso della popolazione tale valore si approssima al 22 per cento). Tra l'altro, si tratta frequentemente di un'attività stabile (44 per cento, contro 39 per cento del complesso della popolazione).

Le esperienze di lavoro, peraltro meno diffuse che fra i colleghi delle rispettive facoltà di provenienza (Lettere e Scienze politiche), non sembrano influenzare la riuscita negli studi, invece, in termini di voto alla laurea e di punteggio medio degli esami.

Le considerazioni avanzate con riferimento all'influenza delle esperienze di lavoro sulla durata degli studi e sulla riuscita universitaria si confermano valide anche in un'analisi di genere: gli storici combinano più frequentemente delle storiche attività lavorative - sia a carattere occasionale che stabile - e studio (il 73,6 per cento degli uomini ha avuto esperienze di lavoro durante gli anni universitari, contro il 62,2 per cento delle donne). Esperienze che incidono significativamente sulla durata degli studi, sia in termini di età alla laurea (28,8 contro 27,7 delle donne), che di regolarità degli studi (l'indice di durata degli studi vale 1,70 per gli uomini contro 1,63 per le donne).

Tab. 3 - Profilo dei laureati 2000: esperienze di studio all'estero, conoscenze linguistiche ed informatiche (valori percentuali)

Tabella 3

La conoscenza dell'inglese (al contrario del francese) non è particolarmente diffusa, seppure in media con il complesso della popolazione; ci si attendeva però una più diffusa padronanza delle lingue dal momento che tra gli storici sono frequenti i periodi di studio compiuti all'estero. Il confronto con le rispettive facoltà evidenzia comunque una doppia tendenza: gli storici di Scienze politiche non si differenziano significativamente dai colleghi della facoltà; quelli di Lettere si collocano invece abbondantemente al di sotto della media di facoltà. Ma in questa facoltà, come è noto, è rilevante il peso dei laureati in Lingue con l'evidente ampia conoscenza delle lingue straniere.

Fra gli storici non risulta particolarmente diffusa nemmeno la conoscenza degli strumenti informatici, che è sempre inferiore di almeno 9 punti percentuali rispetto alla media. Tale lacuna pare da attribuirsi principalmente al percorso di studio intrapreso, che solo raramente offre la possibilità di ampliare la propria formazione personale con attività non strettamente attinenti alle materie previste dall'ordinamento. Ma il confronto con le facoltà di provenienza degli storici non migliora il quadro; le loro capacità informatiche sono infatti più ridotte anche di quelle possedute dagli altri laureati di Lettere e di Scienze politiche.

3. La condizione occupazionale e professionale ad un anno dalla laurea

L'analisi della situazione lavorativa e professionale ad un anno dalla laurea, con tutti limiti che il breve intervallo di tempo trascorso dalla conclusione degli studi comporta, è operata sul collettivo più recente, costituito dai 484 storici che hanno conseguito il titolo nel 1999 [3]. Il tasso di risposta, estremamente elevato (83 per cento), garantisce la necessaria rappresentatività del collettivo.

Nonostante la durata degli studi universitari, che per concludersi ha richiesto a metà dei laureati un tempo superiore del 50 per cento a quello previsto dagli ordinamenti, nonostante l'elevatissima età media alla laurea (28 anni), che pone i laureati italiani in evidenti condizioni di difficoltà sul mercato del lavoro internazionale, nonostante tutto ciò, terminata l'università la maggior parte dei laureati prosegue la propria formazione personale e professionale attraverso corsi ed attività post-laurea. Per i dottori di talune facoltà si tratta di un percorso obbligato: è il caso dei medici che devono intraprendere la specializzazione e dei laureati in Giurisprudenza che devono svolgere il tirocinio e il praticantato. Ma la tendenza a proseguire la formazione, con il conseguente ulteriore ritardo nell'ingresso nel mercato del lavoro, è comune e generalizzata ai laureati di tutte le facoltà. Coinvolge quindi anche gli storici: oltre il 65 per cento di questi ha dichiarato infatti di aver seguito dopo la laurea un qualche corso di formazione post-laurea. Gli storici di Lettere partecipano però meno dei colleghi di facoltà (62,8 contro 66,6 per cento), al contrario degli storici di Scienze politiche (68,7 contro 61,9 per cento).

Ad un anno dal conseguimento del titolo risultano comunque occupati 6 storici su 10[4], in linea con la tendenza generale: il confronto con le rispettive facoltà ridimensiona però la situazione, dal momento che gli storici risultano meno occupati degli altri colleghi di Lettere (64,3 per cento) e di Scienze politiche (76 per cento).

Grafico 1 - Condizione occupazionale ad un anno dalla laurea. Confronti (valori percentuali; tra parentesi: numero di intervistati)

Grafico 1

Il sostanzialmente positivo risultato occupazionale è dovuto anche alla prosecuzione dell'attività lavorativa iniziata durante l'università che, come si è già avuto modo di sottolineare, caratterizza fortemente i laureati in Storia. Se infatti escludessimo dall'analisi coloro che proseguono il lavoro iniziato prima di divenire "dottore", si accentuerebbe il distacco, in termini occupazionali, con i colleghi di Lettere, mentre si attenuerebbe quello con Scienze politiche; nel complesso della popolazione, a fronte di un tasso di occupazione del 54 per cento gli storici si attesterebbero al 50 per cento.

Grafico 2 - Prosecuzione dell'attività iniziata prima della laurea. Confronti (valori percentuali; tra parentesi: numero di intervistati)

Grafico 2

La tendenza a mantenere il lavoro precedente la laurea anche dopo il conseguimento del titolo spiega l'elevata diffusione di attività stabili (con contratto dipendente a tempo indeterminato, oppure a carattere autonomo): quasi il 45 per cento degli storici occupati ad un anno vanta infatti un impiego stabile, mentre nel complesso della popolazione la percentuale scende al 39 per cento. Il confronto con le rispettive facoltà di provenienza evidenzia come il lavoro stabile coinvolga in maggior misura gli storici di Scienze politiche (i quali tra l'altro proseguono più frequentemente il lavoro iniziato precedentemente alla laurea).

All'ampia diffusione del lavoro stabile si accompagna una minore concentrazione del contratto di formazione lavoro, che coinvolge infatti il 5,8 per cento degli storici contro il 15 per cento del complesso della popolazione.

Il 41 per cento degli storici occupati rientra invece nell'ambito del lavoro atipico (che comprende tra l'altro il contratto a tempo determinato, la collaborazione coordinata e continuativa o occasionale). Queste nuove forme contrattuali, che nel corso degli anni novanta hanno caratterizzato in misura crescente la struttura economica del Paese, hanno inevitabilmente coinvolto e contraddistinto anche l'ingresso dei giovani laureati nel mercato del lavoro, e più in generale il cosiddetto mondo delle professioni intellettuali. La precarizzazione che contraddistingue le forme contrattuali atipiche non è destinata però a rimanere tale a lungo: numerosi studi in tal senso hanno infatti evidenziato che "per chi è in possesso di un titolo di studio elevato, questa opportunità di inserimento lavorativo si configura realmente come un ponte verso un'occupazione più stabile" (Istat, Rapporto annuale. La situazione del Paese 1999, Roma 2000).

Tab. 4 - Laureati occupati: tipologia dell'attività lavorativa. Confronti (valori percentuali)

Tabella 4

Tra l'altro ciò che sorprendentemente sembra emergere dai risultati dell'indagine (non si dimentichi che quella qui esaminata è stata condotta ad un anno dalla conclusione degli studi) è una certa volontarietà nella scelta di lavorare con un contratto atipico, dettata probabilmente dall'esigenza di mantenere rapporti lavorativi flessibili e ottenendo in contropartita maggiori livelli retributivi o migliori prospettive di crescita professionale. Se si concentra l'attenzione sul contratto a tempo indeterminato da un lato e su quello di collaborazione dall'altro (che sono i più diffusi tra gli storici, e identificano il prototipo del rapporto lavorativo stabile e tradizionale, e quello più flessibile e atipico all'estremo opposto), non si può che rilevare che il contratto atipico, anche se offre minore sicurezza contrattuale, permette maggiori soddisfazioni professionali. Gli storici occupati con un contratto di collaborazione sono molto appagati dal proprio impiego (il 48 per cento si dichiara "moltissimo o molto soddisfatto", contro il 40 per cento di chi è assunto con un contratto a tempo indeterminato), e tale maggiore soddisfazione è riscontrabile anche su singoli aspetti dell'attività lavorativa, dalle prospettive di guadagno alla coerenza con gli studi intrapresi, dall'acquisizione di professionalità all'indipendenza o autonomia sul lavoro.

Interessante infine sottolineare come tra gli storici, e soprattutto tra quelli di Lettere, sia particolarmente diffuso il contratto a tempo determinato, che verosimilmente coinvolge le sostituzioni annuali degli insegnanti nel sistema di istruzione nazionale.

4. Cosa fanno gli storici occupati?

Ad un anno dalla laurea quasi la metà degli storici occupati, in linea con la tendenza più generale evidenziata nel complesso dei laureati, è assunta come impiegato o intermedio; come si è già visto, un'altra quota non indifferente (quasi un laureato su 4) lavora come collaboratore (coordinato e continuativo o occasionale).

Sono lievemente più rappresentate rispetto al complesso della popolazione le figure professionali di livello medio-alto, come i dirigenti/direttivi/quadri (posizione ricoperta da 10 storici su 100, contro il 6 per cento del totale dei laureati), o i lavoratori in proprio (8 per cento contro 4,7 per cento).

Occupati principalmente in aziende private di grande dimensioni, gli storici non sembrano collocarsi in uno specifico ambito settoriale: il 74 per cento degli occupati si distribuisce infatti in ben sette diversi rami di attività economica, apparentemente non sempre strettamente correlati con gli studi intrapresi. Uno storico su cinque è infatti impiegato nell'istruzione, 15 su cento lavorano nel commercio, 8 su cento nei trasporti, altrettanti nel credito/assicurazioni e negli altri servizi alle imprese.

Grafico 3 - Laureati in Storia occupati: ramo di attività economica (valori percentuali)

Storici di Lettere e Filosofia Storici di Scienze politiche
Grafico 3 Grafico 3

Ma se queste considerazioni sembrano valere ancor più per gli storici di Scienze politiche, diversa è la situazione per quelli di Lettere, i quali sembrano trovare una adeguata collocazione nel mercato del lavoro: oltre un terzo degli occupati, infatti, è impiegato nell'istruzione.

Si possono così sottolineare alcuni tratti di sintesi di particolare interesse: tra gli storici, soprattutto tra quelli di Lettere, è particolarmente diffuso il contratto dipendente a tempo determinato, formula contrattuale che ben si adatta a descrivere parte delle assunzioni del corpo insegnante nelle scuole (e l'istruzione è infatti il ramo di attività più diffuso tra gli storici). Se la maggior parte degli storici, in conclusione, è occupata nel terziario (87 per cento), tutt'altro che irrilevante risulta la quota impiegata nell'industria (11 per cento).

Grafico 4 - Laureati occupati: efficacia[5] del titolo universitario. Confronti (valori percentuali; tra parentesi: numero di occupati che è stato possibile classificare)

Grafico 4

è evidente che ad un anno dalla conclusione degli studi le potenzialità degli studi compiuti solo in parte hanno avuto la possibilità di esprimersi. Così per 31 laureati in Storia su cento, e soprattutto per un terzo degli storici di Scienze politiche, la laurea risulta poco o per nulla efficace ai fini dell'attività lavorativa svolta. Si tratta comunque di una insoddisfazione che risulta doppia di quella riscontrabile nel complesso della popolazione indagata.

è importante però sottolineare che questo risultato è influenzato negativamente dalla diffusa prosecuzione del lavoro precedente alla laurea (che, si ricorda, è ancora più marcata tra gli storici di Scienze politiche – 38 per cento degli occupati - rispetto a quelli di Lettere – 33 per cento), verosimilmente non sempre strettamente correlato al titolo di studio: la laurea è infatti più efficace per coloro che hanno iniziato la propria attività lavorativa dopo l'alloro (35 per cento di almeno efficace rispetto al 14 per cento di chi prosegue l'attività precedente).

Il titolo di studio risulta infine più efficace per coloro che sono occupati con un contratto a tempo determinato (gli insegnanti di cui si parlava prima?), il che aiuta ad interpretare meglio la maggiore efficacia degli storici di Lettere.

5. I laureati non occupati

La quota di laureati non occupati non evidenzia automaticamente l'area della disoccupazione, dal momento che quasi il 10 per cento degli storici che dichiara di non avere un lavoro non lo cerca neppure, soprattutto perché impegnato in ulteriori studi.

Grafico 5 - Laureati in Storia non occupati che non cercano lavoro: motivi della non ricerca (valori percentuali)

Grafico 5

Ed ancora, dei rimanenti 3 storici su 10 che cercano lavoro, solo una parte può essere definita propriamente disoccupata, perché impegnata attivamente nella ricerca e immediatamente disponibile ad iniziare un lavoro: il tasso di disoccupazione effettivo ad un anno dalla laurea risulta perciò del 22 per cento ed è più alto rispetto al complesso della popolazione (14 per cento). Tale differenza tende però ad attenuarsi nel tempo: a tre anni dal conseguimento del titolo, infatti, la differenza è davvero ridotta (il tasso di disoccupazione è pari al 10 per cento per gli storici, mentre per il complesso della popolazione è del 7 per cento).

Grafico 6 - Laureati in Storia non occupati che cercano lavoro: tasso di disoccupazione reale (valori percentuali)

Grafico 6

La tendenza ad identificare la quota dei non occupati con l'area della disoccupazione risulta quindi, oltre che inesatta, davvero riduttiva, dal momento che non è in grado di cogliere le molteplici sfaccettature che l'universo dei laureati è in grado di offrire. Soprattutto a un anno dalla laurea, infatti, sono molti i dottori che decidono, volutamente o necessariamente, di ritardare l'ingresso nel mercato del lavoro (perché impegnato in attività di formazione o nel servizio di leva, ad esempio).

Per i laureati in Storia questi elementi sono forse meno evidenti, ma comunque importanti per comprendere i meccanismi che regolano l'ingresso nel mondo lavorativo.

6. Dopo il primo anno dalla laurea

Il generale miglioramento della situazione economica nazionale, tradottasi negli ultimi anni nel miglioramento stesso dell'accesso al mercato del lavoro dei laureati, si riflette anche sugli esiti occupazionali degli storici.

 

Grafico 7 - Condizione occupazionale dei laureati in Storia degli anni 1997, 1998, 1999. Evoluzione nei tre anni di rilevazione (valori percentuali)

Grafico 7

Si riscontra infatti un apprezzabile incremento del tasso di occupazione ad un anno dalla laurea: nella rilevazione 2000, come si è già avuto modo di sottolineare, il numero di occupati supera il 61 per cento, mentre nelle precedenti rilevazioni (1999 e 1998) tale valore era prossimo al 55 per cento.

In soli due anni, perciò, le mutate possibilità occupazionali offerte dal sistema economico hanno migliorato di ben 5 punti percentuali gli esiti occupazionali dei laureati ad un anno dall'alloro.

Oltre però al miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro, che coinvolge soprattutto l'inserimento dei neo-laureati, si riscontra anche un progressivo aumento del tasso di occupazione a due e tre anni dalla laurea.

Il numero degli storici occupati a tre anni dal conseguimento del titolo è infatti di ben 22 punti percentuali più alto rispetto a quanto rilevato ad un anno (il tasso di occupazione è cresciuto dal 55 al 77 per cento). I laureati in Storia, tra l'altro, si collocano meglio sia rispetto alla media generale (+20 punti di incremento nei tre anni considerati), sia rispetto ai colleghi di Lettere (+ 17) e di Scienze politiche (+20).

Si apprezza ancor più tale positivo risultato se si considera che, all'aumentare del tasso di occupazione diminuisce proporzionalmente la quota di laureati che non lavora ma cerca lavoro: per gli storici, nei tre anni successivi alla laurea, infatti, la quota in cerca di occupazione scende di ben 20 punti percentuali (dal 33 al 13 per cento). Il progressivo inserimento nel mondo del lavoro da parte degli storici in cerca di impiego evidenzia quindi la buona ricettività del mercato del lavoro.

Interessante l'analisi della condizione occupazionale per genere, che permette di rilevare per gli storici una positiva controtendenza rispetto al complesso della popolazione, dove le differenze tra uomini e donne, nei tre anni successivi alla laurea, tendono ad accentuarsi a favore della componente maschile.

Grafico 8 - Condizione occupazionale dei laureati in Storia degli anni 1997, 1998, 1999, per genere. Evoluzione nei tre anni di rilevazione (valori percentuali)

Grafico 8

Tra gli storici sono invece le donne ad avere maggiori opportunità occupazionali, anche se il divario tende ad attenuarsi, fino quasi ad annullarsi, col passare del tempo; l'iniziale svantaggio degli uomini deriva soprattutto dagli obblighi di leva, che li distolgono temporaneamente dal mercato del lavoro, ma che evidentemente non ne inficiano le chance occupazionali.

Grafico 9 - Laureati che non lavoravano al momento della laurea: tempi di ingresso nel mercato del lavoro. Confronti (tra parentesi, nella legenda: tempo medio di permanenza nella condizione di non occupazione)

Grafico 9

Risultano perciò evidenti le concrete possibilità lavorative che la laurea in Storia è in grado di offrire, confermate anche dall'analisi di lungo periodo. La capacità di assorbimento del mercato del lavoro è rafforzata e sottolineata dalla valutazione dei tempi di ingresso. Un apprezzamento immediato deriva dall'analisi dei tempi medi di attesa per l'accesso al mercato del lavoro: i laureati in Storia, nei tre anni presi in esame, impiegano 11 mesi per trovare il primo impiego, due mesi in meno rispetto al complesso della popolazione[6].

Gli storici, analogamente ai colleghi delle due facoltà dalle quali provengono, presentano una curva di sopravvivenza nella condizione di non occupazione più "bassa" rispetto al complesso della popolazione: ciò significa che il loro inserimento nel mercato del lavoro è più rapido, ed i risultati fino ad ora apprezzati si rafforzano ulteriormente se si tiene conto che sono stati esclusi dall'analisi coloro che già lavoravano alla laurea.

All'incremento del tasso di occupazione si affianca un generale miglioramento delle condizioni contrattuali. Il lavoro stabile, peraltro già ampiamente diffuso tra i neo-laureati, coinvolge a tre anni dal conseguimento del titolo quasi 5 storici su 10. All'aumentare della stabilità contrattuale non corrisponde però una sensibile diminuzione del lavoro atipico, che nei tre anni successivi alla laurea coinvolge ancora oltre il 40 per cento degli occupati.

Grafico 10 - Laureati in Storia occupati: tipologia dell'attività lavorativa. Situazione a uno e tre anni dalla laurea (valori percentuali)

Grafico 10

Ciò che pare emergere chiaramente dall'analisi dei dati è che i laureati in Storia sono poco "mobili" in termini di cambiamento dell'attività lavorativa: una parte consistente degli occupati (17 per cento), anche a tre anni dal conseguimento del titolo, continua ancora l'attività precedente alla laurea; si pensi che nel complesso della popolazione tale valore è di poco superiore al 10 per cento.

È forse anche per questo motivo che a tre anni dal conseguimento del titolo la metà degli occupati è assunto ancora come impiegato. Questa situazione è però comune anche al complesso dei laureati e apre una problematica più ampia: per quale motivo a tre anni dalla laurea una quota consistente di laureati riveste ancora un ruolo intermedio? Probabilmente è necessario più tempo per permettere ai giovani in possesso di un elevato titolo di studio di trovare l'esatta collocazione nella gerarchia aziendale, ma questo risultato fa pensare anche che il sistema economico non sia in grado di offrire un impiego consono al titolo acquisito, soprattutto se di medio-alto livello.

L'efficacia del titolo resta, anche a tre anni, inferiore rispetto alla media: la laurea risulta infatti almeno efficace per 40 storici occupati su 100, mentre per il complesso della popolazione il valore si approssima al 60 per cento.

Il confronto con le rispettive facoltà colloca gli storici in una posizione migliore rispetto ai colleghi di Scienze politiche (29 per cento di almeno efficace), ma comunque inferiore agli altri di Lettere (50 per cento).

L'aspetto più preoccupante, però, fa riferimento soprattutto al fatto che nel corso dei tre anni di rilevazione non è stato possibile apprezzare un significativo aumento dell'efficacia del titolo, perché anche se è cresciuta di circa 8 punti la quota che dichiara che la laurea risulta "abbastanza efficace", è rimasta invece inalterata la parte che la ritiene "efficace" o "molto efficace".

Grafico 11 - Laureati occupati: efficacia esterna del titolo universitario a tre anni. Confronti (valori percentuali; tra parentesi: numero di occupati che è stato possibile classificare)

Grafico 11

7. Conclusioni

Il filo conduttore, nell'analisi delle principali caratteristiche dei laureati in Storia, sembra essere l'attività lavorativa iniziata durante gli studi, che spesso risulta l'elemento esplicativo delle peculiarità che differenziano gli storici dal resto dei laureati. Essi infatti si configurano frequentemente come lavoratori-studenti, ed è per questo motivo che concludono gli studi in ritardo (soprattutto in termini di regolarità) rispetto ai colleghi delle altre facoltà.

Ad un anno dall'acquisizione dell'alloro risultano occupati 6 storici su dieci (in media con il complesso della popolazione indagata), ma tale positivo risultato è influenzato anche dalla cospicua quota di storici che proseguono il lavoro intrapreso durante la carriera universitaria. Ed è infatti la tendenza a mantenere questo lavoro che spiega l'ampia diffusione del lavoro stabile, cui si accompagna una minore concentrazione del contratto di formazione lavoro.

Anche l'efficacia del titolo è in parte condizionata da questa ridotta "mobilità" (in termini di cambiamento dell'attività lavorativa): per 69 storici su cento il titolo è almeno efficace, mentre per il complesso della popolazione il valore si approssima all'85 per cento.

Interessante infine analizzare la documentazione tenendo in considerazione la differente composizione per facoltà degli storici. L'elemento che desta particolare interesse è la nicchia di mercato in cui gli storici di Lettere hanno trovato adeguata collocazione. Per questi infatti sembra essere l'insegnamento la più idonea chiave di lettura dei dati: lavorano spesso con contratti a tempo determinato, nel ramo dell'istruzione, e con un livello di efficacia più alto rispetto ai colleghi di Scienze politiche; non è probabilmente casuale, inoltre, il fatto che gli storici di Lettere proseguono meno frequentemente di quelli di Scienze politiche il lavoro iniziato durante l'università.

(*) Saggio pubblicato su Contemporanea, Il Mulino, gennaio 2002.
 

Note: