L’università: la sua capacità formativa e le sue infrastrutture nella valutazione di 12 generazioni di laureati dell'Alma Mater

Quando, nell’ottobre 2006, sollecitati dall’invito a riflettere con particolare attenzione sulle problematiche poste dalla popolazione studentesca, avanzammo al Rettore sei proposte per altrettanti approfondimenti sul tema “Studiare all’AlmaMater e vivere da studenti a Bologna”, eravamo persuasi che ad alcuni di questi risultati saremmo potuti giungere con relativa facilità, in tempi brevi e con costi limitati. Tutto ciò sembrava particolarmente vero per l’analisi delle valutazioni che dieci generazioni di laureati (nel frattempo diventate dodici) hanno rilasciato, anno dopo anno, alla vigilia della conclusione degli studi, circa la soddisfazione complessiva per il percorso formativo compiuto, per i rapporti con i docenti, per le aule, le biblioteche, ecc. Si trattava infatti di utilizzare la documentazione già disponibile nell’archivio AlmaLaurea a partire dall’anno 1996. Una documentazione straordinaria, unica verrebbe da dire, se solo si pensa che le valutazioni riflettono il parere di quasi 135mila laureati, il 92 per cento del complesso dei laureati del periodo preso in considerazione. L’analisi si è dimostrata per tanti versi più interessante (ed ha potuto dilatarsi ai laureati del 2007) ma anche più problematica. La necessità di uniformarsi al modello proposto per l’intero sistema universitario dal CNVSU nel 2003 ha obbligato a modificare il questionario originario introdotto dall’Ateneo bolognese dieci anni prima. Ne è risultata compromessa la immediata comparabilità della documentazione; comparabilità che è stata ripristinata attraverso l’adozione di non banali procedure di conversione.

Non solo: con l’avvio della riforma il prodotto finito dell’università è andato diversificandosi dal punto di vista degli obiettivi formativi, della durata dei percorsi di studio proposti e delle stesse caratteristiche della popolazione giovanile che vi accede, così come degli ambiti socio economici delle loro famiglie di provenienza, ponendo sotto il profilo della comparabilità ulteriori rilevanti questioni.

Fra i laureati del 1996, per esempio, ben 73 su cento portavano a casa un titolo di studio sconosciuto ai genitori. Ciò era tanto più vero per i laureati in Chimica industriale e Scienze della formazione (86-85 per cento), mentre fra i laureati in Farmacia e Medicina e Chirurgia la quota di genitori privi di laurea risultava inferiore di oltre 20 punti percentuali (61 e 63 rispettivamente). Dopo oltre un decennio i segnali del cambiamento cominciano a manifestarsi. A portare a casa una laurea per la prima volta sono 67 giovani su cento (81 fra i laureati in Scienze della Formazione e in Economia – sede di Forlì, 60 a Medicina e Chirurgia e a Economia – sede di Bologna).

Le stesse aspettative del corpo studentesco - verosimilmente mutate negli anni - nei confronti dell’università e delle sue infrastrutture invitano ad un’interpretazione dei risultati la più articolata possibile. La documentazione raccolta nelle pagine che seguono costituisce pertanto un primo punto d’arrivo: importante ma tutt’altro che conclusivo.

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