Lo smart working, unitamente al telelavoro, rappresenta una forma di lavoro che è stata introdotta nel nostro Paese già da tempo, ma che prima dello scoppio della pandemia da Covid-19 non era stata particolarmente utilizzata dalle imprese italiane.
Negli ultimi anni, invece, si è rilevato un forte aumento dei lavoratori da remoto. L’emergenza sanitaria ha infatti determinato un improvviso e forte ricorso a tale modalità di lavoro, la cui diffusione è successivamente calata a seguito del contenimento della pandemia.
Ad oggi, tuttavia, lo smart working rimane molto diffuso e rappresenta una forma di lavoro ormai strutturata all’interno delle realtà aziendali, pur se con una diversa diffusione nel settore pubblico e privato.
Secondo quanto rilevato dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel 2023 lo smart working si conferma in crescita, in particolare nelle grandi imprese, dove la quasi totalità ne fa ricorso (96%; era il 91% nel 2022). Seppure i livelli siano decisamente inferiori, tale modalità di lavoro nell’ultimo anno risulta in aumento anche nella Pubblica Amministrazione (61%, rispetto al 57% del 2022) e nelle piccole e medie imprese (56%, rispetto al 48% del 2022).
Per semplicità di lettura, di seguito si parlerà di smart working, comprendendo, in senso lato, tutte le attività alle dipendenze o di tipo autonomo svolte da remoto (tenendo conto che lo smart working rappresenta la modalità prevalente).
La rilevazione AlmaLaurea del 2023 mostra come lo smart working e, più in generale, il lavoro da remoto, coinvolga complessivamente il 15,7% dei laureati di primo livello e il 24,9% dei laureati di secondo livello occupati a un anno dal titolo.
Laureati degli anni 2022 e 2018 occupati a uno e cinque anni dal conseguimento del titolo: diffusione dello smart working per tipo di corso (valori percentuali)
Fonte: AlmaLaurea, Indagine sulla Condizione occupazionale dei Laureati.
A livello di gruppo disciplinare lo smart working è decisamente più diffuso, a un anno dal titolo, tra i laureati di primo e di secondo livello dei gruppi:
- informatica e tecnologie ICT (oltre il 70% per entrambe i collettivi)
- ingegneria industriale e dell’informazione (oltre il 40% per entrambi)
- economico (24,8% per i laureati di primo livello e 41,7% per quelli di secondo livello)
- politico-sociale e comunicazione (24,8% per i laureati di primo livello e 36,4% per quelli di secondo livello)
- scientifico (19,4% per i laureati di primo livello e 21,6% per quelli di secondo livello).
A livello di genere lo smart working è più diffuso, a un anno dal titolo, tra gli uomini (22,8% tra i laureati di primo livello e 31,0% tra quelli di secondo livello) rispetto alle donne (11,0% e 20,3%, rispettivamente).
Infine, a livello territoriale risulta più utilizzato tra coloro che lavorano al Nord rispetto al Mezzogiorno (tra i laureati di primo livello: 17,0% e 12,6%, rispettivamente; tra i laureati di secondo livello: 27,3% e 16,6%, rispettivamente), anche se la quota più elevata si riscontra tra gli occupati all’estero (26,4% e 39,1% per i laureati, rispettivamente, di primo e di secondo livello).
Quali sono le caratteristiche dell’attività svolta da chi lavora in smart working?
I lavoratori in smart working svolgono più frequentemente una professione intellettuale e a elevata specializzazione (in particolare, analisti e progettisti software, giornalisti e altri esperti in ambito linguistico, letterario e artistico, project manager e altri esperti delle scienze gestionali, commerciali e bancarie, ingegneri, architetti, avvocati, notai ed esperti legali). Lavorano più frequentemente nel settore privato, meno in quello pubblico.
Sono relativamente più occupati nei rami dell’informatica, delle consulenze professionali, della comunicazione, nel ramo del credito e assicurazioni e, come ci si poteva attendere, sono invece relativamente meno occupati in quegli ambiti in cui si richiede, di norma, la presenza fisica nel luogo di lavoro, ossia nei rami della sanità, del commercio e in quello dell’istruzione e ricerca.
In termini di tipologia dell’attività lavorativa, gli occupati in smart working hanno in maggior misura un contratto alle dipendenze a tempo indeterminato; risultano meno frequenti, invece, i contratti a tempo determinato.
Tali risultati sono generalmente confermati sia per i laureati di primo livello sia per quelli di secondo livello, sia a uno sia a cinque anni dalla laurea.
Sintesi del Rapporto AlmaLaurea (.pdf)
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